domenica 20 dicembre 2009

Le funzioni del giudice nelle cause di nullità matrimoniale

Il lavoro che andrò ad illustrarvi su alcuni aspetti del regime giuridico che regola l’attività dei giudici ecclesiastici nel loro importantissimo e delicatissimo compito di formulare un giudizio in merito alla validità o alla nullità del matrimonio canonico, avrà come scopo di illustrare un modo di intendere la giustizia non come attività neutrale e a sé stante, ma strettamente correlata alle finalità generali che l’ordinamento stesso intende perseguire. A questo proposito, va rilevato che è fortemente cresciuta nella nostra società contemporanea, l’aspettativa di ottenere, con una sentenza di nullità, il riacquisto dello stato libero e la conseguente possibilità di celebrare un nuovo matrimonio. La crisi dell’istituto matrimoniale ed il conseguente moltiplicarsi del fallimento dei matrimonio, la mentalità divorzistica che va sempre più prendendo piede anche nei paesi di più antica tradizione cattolica hanno prodotto la diffusa sensazione che chi ha avuto un’infelice esperienza coniugale, abbia in un certo qual modo il diritto di ottenere dalla Chiesa il riconoscimento della nullità del proprio matrimonio.
Questo modo di intendere la giustizia conduce anche a svalutare le modalità tipiche di esplicazione dell’attività giudiziaria: molte formalità processuali vengono ritenute inutili, non consone a questo spirito pastorale; si tende a voler sostituire il processo con un procedimento sommario, con inchieste di tipo amministrativo. Un corretto inquadramento della funzione giudiziaria, quale cercherò di delineare nel corso della seguente trattazione, non consente di condividere un siffatto modo di intendere la giustizia ecclesiale e l’indole pastorale che lo caratterizza. Certamente, il giudice, deve essere profondamente sensibile alle esigenze dei fedeli, farsi carico del loro disagio morale, comprendere l’anelito ad una regolarizzazione del loro stato personale. Ma deve anche rimanere partecipe ai valori dell’ordinamento di cui è espressione, mantenere la consapevolezza che il suo operato è in funzione non solo del più immediato interesse del singolo, ma di quello di tutta la Chiesa; che il desiderio di recupero dello stato libero voluto dal soggetto va contemperato con la tutela dell’irrinunciabile valore della sacra mentalità e della indissolubilità del matrimonio. Ritengo, pertanto, doveroso far emergere dal mio lavoro una verità incontrovertibile, e cioè che il processo matrimoniale, come ogni processo canonico, è un servizio della Chiesa alla verità e alla coscienza dei fedeli. Lo spirito che informa l’azione dei Tribunali ecclesiastici e, di conseguenza, i suoi giudici, lo disse già Giovanni XXIII, parlando alla Rota Romana il 13 dicembre 1961, è il ministerium veritatis, perché tende primariamente alla salvezza dell’anima di chi ha bisogno di questi Tribunali. Raggiungere la verità è quindi l’obiettivo e il dovere primario del giudice, il quale è chiamato in primo luogo ad impegnarsi per accertare la conformità delle sue sentenze con la retta dottrina della Chiesa. La deontologia del giudice ha il suo criterio ispiratore nell’amore per la verità. Egli, dunque, deve essere innanzitutto convinto che la verità esiste. Il giudice che veramente agisce da giudice, cioè, con giustizia, non si lascia condizionare né da sentimenti di falsa compassione per le persone, né da falsi modelli di pensiero, anche se diffusi nell’ambiente. Egli sa che le sentenze ingiuste non costituiscono mai una vera soluzione pastorale. Partendo da queste considerazioni, l’iter che seguiremo nella trattazione consisterà nel descrivere, in primis, la potestà giudiziale nell’ordinamento canonico, soffermandoci in particolar modo sul concetto di competenza nel contesto dei titoli o criteri che servono a determinarla. Il tema della competenza del Tribunale occupa, infatti, un posto preliminare, alla volte anche pregiudiziale, all’introduzione della causa e alla definizione sul merito. L’oggetto del primo capitolo della dissertazione prende in considerazione i diversi gradi e le differenti specie dei tribunali competenti a giudicare le cause matrimoniali. Considereremo anzitutto la diversità di grado. Il processo canonico si articola infatti, per sequenze successive, ripartite per gradi diversi, caratterizzati, ai sensi del can. 1447 cic, dalla diversità del giudice. La specie del tribunale dipende invece dalla diversità di alcuni elementi che lo caratterizzano. In questa prospettiva un tribunale, oltre che individuato per grado (a seconda che sia di prima, seconda o terza istanza), può ancora essere, con riferimento ai giudici per il loro numero, unipersonale o collegiale, e per la natura del loro potere, ordinario o delegato.
Proseguiremo affermando che la potestà giudiziale, di cui sono forniti i giudici ha come scopo primario la realizzazione del processo, che è un rapporto giuridico dinamico, in cui alle esigenze del bene pubblico e ai diritti delle parti corrispondono i doveri e i poteri del giudice.
A tale scopo il giudice viene fornito dalla legge, entro i limiti consentiti dalla giustizia, di una serie di poteri necessari per la ricerca della verità.
Per ottenere il risultato di dichiarare nulla una unione matrimoniale, il giudice deve in primo luogo ricercare la verità. L’istruzione Dignitas Connubii insiste molto sul primato della verità, raccomandando al giudice “di esortare i coniugi perché, posposto ogni personale desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità e in spirito di carità.”
Dalla funzione immanente all’ufficio del giudice di accertare la verità e di darle un valore legale con la sua pronuncia giudiziale, sorgono numerosi altri doveri che illustreremo nel corso della trattazione, quali il dovere di fedeltà alla legge ecclesiale, in base al quale il giudice, deve attenersi alle leggi canoniche, rettamente interpretate e non perdere mai di vista l’intrinseca connessione delle norme giuridiche con la dottrina della Chiesa.
Concluderemo la trattazione analizzeremo i singoli poteri attribuiti al giudice ecclesiastico. In primis, il dovere del giudice di adoperarsi fattivamente, sempre che si prospetti una qualche speranza di buon esito, per indurre le parti a una composizione pacifica della controversia.
Nella prospettiva della salvaguardia della giustizia nel processo, un altro importante dovere del giudice ecclesiastico, è quello sancito nel can. 1452 cic, cioè quello di integrare le deficienze delle parti, il dovere della rapidità processuale, del segreto professionale di ufficio. Concluderemo con l’analisi della certezza morale che il giudice deve acquisire per giungere all’emanazione di una sentenza. La certezza morale, di cui si tratta nelle cause di nullità matrimoniale, viene intesa nel senso dello stato psicologico del giudice, del suo convincimento, della sua ferma adesione alla verità, conosciuta e verifìcata nel processo circa l’esistenza dei fatti invalidanti il matrimonio già al tempo della sua celebrazione. Infatti, secondo la nuova normativa, perché sia dichiarata la nullità del matrimonio, si richiede nell’animo del giudice la certezza morale di tale nullità (art. 247 § 1 Instructio “Dignitas Connubii”). Per conseguirla, “non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo dell’errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorchè non sia esclusa la mera possibilità del contrario” (art. 247, § 2). Di conseguenza, quindi, quando il giudice, dopo un diligente esame della causa, non ha potuto conseguire questa certezza, deve dichiarare che non consta della nullità di matrimonio ( art. 247, § 5).

Nessun commento: